Una sezione del Festival che, da quest’anno, guarda con maggiore interesse all’arte visiva e alla ricerca.
Una sezione che aggiunge alla programmazione spettacolistica ulteriori suggestioni artistiche nel solco dell'interazione di linguaggi appunto e rappresenta l'inizio di un percorso specifico che il Festival intende via via potenziare.
La parte Art Screening, con tre temi legati alla macro ispirazione del festival degli ultimi anni, ovvero al sistema valoriale del mediterraneo, quindi del viaggiare/migrare, del rapporto poesia/tecnologia, della mater/natura, fornisce una chiara indicazione di contenuti.
La parte di Ricerca di residenza artistica si colloca nel quadro di un’innovativa contemporaneità sintesi di estetica visiva, pedagogia, performance.
Quando gli chiesero da dove venisse, Socrate non rispose da Atene, ma dal mondo.
L’arte di viaggiare, Alain De Botton
Viaggio come percorso di conoscenza e contaminazione delle identità, con particolare attenzione al Mediterraneo, crocevia di transiti materiali e immateriali della storia occidentale.
Se il flaneur benjaminiano è un viaggiatore nomade che si svuota dell’appartenenza e della storia, il migrante è cittadino e incarnazione di ogni luogo attraversato. Vi è, nella migrazione, una preservazione della memoria storica di ogni luogo attraversato, un'identità mobile e al contempo densa di molteplici radici. In questo senso, i lavori di questa sezione mettono in luce, riti, usi e costumi permanenti e contemporanei. E cosi fanno Zero Degree di Akram Khan e Sidi Larbi Cherkaoui che porta in scena il lavoro di incontro e commistione tra i due danzatori nati da famiglia islamica e cresciuti in Europa; così Les Indes Galantes, che mette insieme lo spirito raffinato della musica da opera e del balletto con la street dance, e il film Sono Innamorato di Pippa Bacca, dove la pace tra popoli differenti, il rito e il dialogo ne costituiscono la poetica.
Perchè i poeti alla fine di un mondo?
Martin Heidegger
Una sezione che include giovani artisti e mid-career esplorando la liminalità della poesia alla luce della tecnica e della tecnologia, combinando insieme la condizione tecnopoietica propria al postumanesimo con quella mitopoietica holderliniana e heideggeriana
Madre, non raccontarmi di come si muore.
L' arte rigenera temi di sempre, ancorche in accezioni diverse, ma accomunate da una visione integrata di modelli archetipici e vicende contemporanee.
In questa logica, dalla natura discendono modelli comportamentali umani per la creazione di habitat e forme organizzative sociali, e dal femminino primordiale discendono altresì visioni e progetti sociali nella più larga accezione, passati e contemporanei, avendo in sè tutti i prodromi della forza ancestrale della creazione e della fertilità.
Il Pesce d'Oro, collettivo d'arte e di ricerca teatrale; indaga i luoghi di Squillace e dintorni. Attraverso una pratica quotidiana, vicina al rito - fra luoghi reali ed immaginari - gli artisti de' Il Pesce d'Oro si fanno storia e mito. Nessun spettacolo, o momento preciso per una rappresentazione; la residenza si presenta come un laboratorio aperto fra vita e ricerca.
Il barocco settecentesco, l’hip hop e il krump convivono in un fervido incontro di culture nate a distanza e cresciute ora in una nuova fusione e nello scambio ravvicinato onnivoro del mondo globale.
Prove sulla sabbia per 38 danzatori da 14 paesi (2020)
Proiezione di estratti, conversazione e aperitivo con Elisa Guzzo Vaccarino, critica e storica di danza.
di e con Akram Khan e Sidi Larbi Cherkaoui insieme all “l’uomo universale” di Antony Gormley, è nato sul tema dello straniero, della migrazione e delle differenze culturali.
Zero Degrees del 2005, è ora lo sfondo della performance OAR (zero AR) nel Parco internazionale della Scultura e della Biodiversità di Catanzaro.
AR (zero AR) è una raccolta di brevi lavori di danza in Realtà Aumentata (AR) adatti a tutte le età. Si basa sulla ricchezza di spunti di Zero Degrees , nato dalla collaborazione tra i danzatori e coreografi Sidi Larbi Cherkaoui, marocchico-fiammingo e Akram Khan, anglo-indiano, come pure il musicista Nitin Sawney, insieme con lo scultore Antony Gormley e le sue statue umane, ben presenti sul territorio calabrese nel Parco della Biodiversità.
AΦE ha voluto portare la vivacità e l'aspetto collettivo dell'esperienza teatrale in AR, reinventando l'applicazione di questa tecnologia. 0AR è quindi un'esperienza comune in cui i membri del pubblico che utilizzano cinque dispositivi connessi possono interagire in tempo reale tra loro e sperimentare estratti del lavoro originale che appaiono in 3D.
0AR è stata in tournée in 11 sedi e 8 città in 4 paesi. È stato visto da più di 1800 membri del pubblico e 1923 persone hanno preso parte ai nostri seminari, conferenze ed eventi dimostrativi.
Rituale, provocatoria, metaforica, l’immagine della Krahn restituisce una contemporaneità netta, che se da una parte concede spazi all’impatto visivo emozionale dall’altra rimanda ad un paradigma sematico completamente intellettuale.
Julia Krahn nasce a Jülich nel 1978 e cresce ad Acquisgrana in Germania. Per dedicarsi completamente all'arte lascia gli studi di medicina e si trasferisce a Milano. La sua ricerca interroga la permeabilità dello sguardo tra identità dell’artista e dello spettatore. Ridefinisce gli oggetti quotidiani e i simboli del passato con fotografie che presentano una fluidità ambigua: più che raccontare lo scorrere del tempo o costruire una storia cristallizzano, trasformano da stato liquido a solido, i frammenti di una realtà privata e segreta. Il suo lavoro riflette sui valori perduti o sbilanciati della società, della famiglia e della religione, fino a portare l’obiettivo su immagini che riconducono alle icone cristiane. Nell’opera della Krahn altrettanta forza che all’immagine viene data al formato dei lavori che si sviluppano su
scale e supporti differenti creando un gioco che di volta in volta porta l’osservatore a una nuova percezione dell’immagine. I suoi giganti wallpaper sovrastano lo spettatore con tutta la potenza di un’immagine senza
supporti, vetri o cornici, immagini che dominano fisicamente, immagini che prendono acquisiti pittorici e che, come grandi affreschi, tolgono ogni distanza tra il fruitore e l’ambiente. In uno stesso contesto lo sguardo
viene poi chiamato e portato su piccoli pezzi unici: sia la volta dei cammei in cornici di metallo che stabiliscono un dialogo one to one, intimo, col fruitore, richiamandolo alla preziosità dell’oggetto e della sua percezione.
Tra le mostre personali e partecipazioni ad esposizioni presso istituzioni si segnalano: 2019 DoUtDo, Parco Archeologico degli Scavi di Pompei, Pompei | Vulgata, Dom- und Diözesanmuseum Mainz (D) | 2018 ICEA - Soundlines of Contemporary Art, Yerevan, Armenia | Watch Your Bubble! Kustverein
Tiergarten Berlin (D) | 2017 Oblio, Palazzo delle Esposizioni, Roma | Song Song Stills, Antonella Cattani Bolzano | Figura, Stiftung St.Matthäus Berlin, Bad Wilsnack, Berlin (D) | 2016 NEEDS, Akademie Graz, Graz
Museum, Graz, (A) I Observation without an observer, National Gallery, Skopje, Repubblica di Macedonia | 2015 Rabenmütter, Lentos Kunstmuseum, Linz, (A) | Last Supper, Fondazione Stelline, Milano | It might
have been a pigeon, Museo Diocesano, Milano | Woman, Mother, Idol, Landesmuseum Hannover, Hannover (D) | Sirens - Improvisation und Video, Sophienkirche, Berlin (D) | 2014 Trust Me, HdKK, Stuttgart (D) | 2013
Leidenschaften, Stiftung St.Matthäus, Berlin (D) | Beyond Belief, Musei civici Imola | 2012 Lilies and Linen, Antonella Cattani contemporary art, Bolzano | Mother Loves You, Voice Gallery, Marrakech | 2011 Angelus Militans - Nunc Instantis, Carlotta Testori Studio, Milan | 2010 Ja, Ich Will! Zirkumflex, Berlin (D) | 2007 The Creation of Memory, Galleria Magrorocca, Milan | 2003 Von Gänsen und Elefanten, Tufanostudio25, Milan
Interaction sound design: Andrea Giomi
Costume designer: Marco Barbieri (DEM)
Costumi di scena: Viorica Tarnovschi e Antonio Abbruzzese
Produzione: Ariella Vidach AiEP
Crediti fotografici: Raffaele di Somma
HURACAN è una performance che coniuga danza contemporanea, suono e tecnologie interattive.
E' la proposta di una genesi che attraversa diverse fasi in cui una successione di eventi modifica continuamente la densità energetica dell'ambiente e dello spazio scenico. Il corpo è trattato come materia duttile che intraprende un viaggio e passa attraverso stadi ed atmosfere di diversa natura. Le tecnologie ed il suono giocano in questo quadro un ruolo cruciale definendo il regime di trasformazione dei corpi, i quali, immersi nell’ambiente interattivo, reagiscono, mutano ed esplorano nuovi patterns percettivi. In questo senso,
l’ambiente sonoro, generato in tempo reale dall’attività bio-fisica delle performer in scena, e principalmente legato alla loro attività muscolare, funge da vettore di trasformazione disegnando una nuova geografia sensoriale, sempre cangiante, in grado di orientare il processo autopoietico alla base della costruzione del movimento. In questo contesto dimsperimentazione, il paradigma del corpo sonoro ha quindi una funzione emergente, non riducibile alla semplice protesi acustica. La drammaturgia del lavoro procede per cristallizzazioni temporanee in cui i tre momenti scenici principali presentano un focus su forme plastiche più definite, ora ispirate a figure totemiche ora percorse da riferimenti alla materia organica e al mondo animale, in cui, a tratti, emergono memorie di anatomie umane. Filo rosso che accomuna le diverse sequenze coreografiche è l'esplorazione del peso e la lotta che il corpo ingaggia con il suolo, con la forza di attrazione gravitaria che permette di acquisire una verticalità nello
spazio. Ogni momento definisce in questo senso un modo diverso di declinare il rapporto
tra nascita e trasformazione, in cui i corpi, sempre temporanei perché molteplici e costantemente esposti all’alterità, si contraggono, vibrano, collassano fino a rompersi progressivamente in favore di una struttura fisica indefinita e inorganica.
Il termine Huracan fa riferimento alla divinità del fuoco, del vento e delle tempeste, spirito creatore responsabile dell'origine della vita. Come un uragano che stravolge, distrugge e ricrea uno spazio, così lo scenario del lavoro viene continuamente trasformato. Alla fine, da creatore dinamico il corpo si trasforma in oggetto che subisce la dinamica stessa fino ad esserne travolto.
ANDREA GIOMI
Ricercatore, musicista ed artista digitale. È attualmente Attaché Temporaire à l’Enseignement et la Recherche (A.T.E.R.) presso l’Université Gustave-Eiffel (Paris Est/Marne-la-Vallée) dove insegna Arte e Nuove Tecnologie. Dal 2018 al 2020 è stato Postdoctoral Researcher presso il “Performance Lab” dell’Université Grenoble-Alpes. Ha collaborato con diversi coreografi francesi e italiani tra cui Ariella Vidach, Raphael Bianco e Eric Oberdorff. È tra i fondatori del collettivo artistico e teatrale Kokoschka Revival.
LOREDANA TARNOVSCHI
Nata a Balti, Moldavia nel 1992, si diploma alla Scuola Civica Paolo Grassi di Milano al Corso di Teatro-Danza sotto la direzione di Marinella Guatterini. Approfondisce i suoi studi in Italia e all’estero. Importanti gli incontri con Dominique Dupuy, Billy Cowie (Danza 3D), Luca Veggetti, Paola Lattanzi (floorwork, instant composition), Maria Consagra (Laban Notation). Nel 2019 insieme a Sofia Casprini e Andrea Giomi inizia un percorso di ricerca, sperimentazione e composizione coreografica improntato sull’utilizzo delle nuove tecnologie in relazione all’arte visiva. Collabora come danzatrice, ricercatrice e performer con Michele Di Stefano (MK) e Alessandro Carboni (FormatiSensibili). Dal 2016 a oggi è danzatrice nelle produzioni della Compagnia AiEP – Ariella Vidach di Milano.
SOFIA CASPRINI
Danzatrice, coreografa e insegnante. Nasce nel 1994 in provincia di Firenze. Nel 2016 ottiene la laurea presso l’università Trinity Laban Conservatoire of Music and Dance e nel 2018 il Master in Performing Arts presso la London Contemporary Dance School. Inizia a lavorare per la compagnia inglese Edge dance company, diretta da Jeanne Yasko. Collabora inoltre con compagnie quali Scottish Dance Theatre e Danish Dance Theatre e lavora per Dam Van Huynh, Shobana Jeyasingh, Karen and Allen Kaeja e Tony Adigun. Attualmente lavora in Italia per Sanpapié Dance and Physical Theatre di Lara Guidetti, per Ariella Vidach AiEP ed per artisti quali Jonathan Burrows e Martin Talaga.
un film di Simone Manetti
Italia 2019 | Colore | DCP | 76"
Una produzione Nacne, A+E Networks Italia; in collaborazione con Filmoption International, Fiumi Film, Esplorare la Metropoli
Progetto realizzato nell'ambito del programma Sensi Contemporanei Toscana per il Cinema
Distribuito da:
Wanted Cinema (Italia),
Widehouse | Anails Clanet (International)
L’8 marzo 2008 l’artista Pippa Bacca parte da Milano con l’amica Silvia Moro, entrambe vestite da spose, per intraprendere il viaggio/performance Brides on Tour con destinazione Gerusalemme. Due donne, due artiste vestite da sposa. Un viaggio attraverso i paesi sconvolti dalle guerre. 6000 km da percorrere in autostop nei territori che hanno visto guerre e conflitti, Bulgaria, Turchia, Siria, Libano, Giordania e Israele, per celebrare il matrimonio tra i popoli e dimostrare che dando fiducia al prossimo si riceve solo bene. Un progetto complesso, con le protagoniste in scena 24 ore su 24, nei loro abiti nuziali. Il film è il racconto di questo straordinario viaggio, portatore di un potente messaggio di pace, che fu interrotto 23 giorni dopo il suo inizio in modo tragico e straziante.
Simone Manetti (Livorno 1978). Dopo una carriera decennale nel montaggio, esordisce alla regia nel 2014 con il corto A New Family con il quale ha partecipato a più di 50 festival internazionali e ha vinto numerosi premi tra cui il Nastro d’argento e il Golden Frog al Camerimage Festival. Sono innamorato di Pippa Bacca (2019) ha ricevuto il Best Roundtable Pitch all'IDFA International Documentary Filmfestival di Amsterdam.
Un incontro per ricordare uno straordinario narratore che attraverso i suoi scatti inventava realtà nuove, e poetiche.
Proiezioni e conversazione con i artisti, intellettuali, amici che lo hanno conosciuto e amato. Presentazione del Premio Giovanni Gastel per giovani fotografi.