Quando ieri mattina Pat Metheny è arrivato in albergo, ha giusto lasciato la valigia in stanza per riscendere e andarsene da solo come un turista qualsiasi lungo le spiagge adiacenti il Parco Scolacium, l’altare magico dove a distanza di poche ore avrebbe regalato ai numerosissimi fans provenienti da ogni dove un concerto indimenticabile. I superlativi non bastano a contenere il talento di un fuoriclasse che nonostante possa vantare riconoscimenti e soddisfazioni di una carriera che teme per davvero pochi confronti, mantiene una curiosità costante che alza sempre di più l’asticella, che poi riesce immancabilmente a superare e l’aggettivo “leggendario” per lui non é ridondanza.
Metheny rappresenta qualcosa di unico nell’asfittico panorama del jazz odierno: è stato l’unico dopo i caposcuola Wes Montgomery e Jim Hall a trasferire il fraseggio tipico di questa straordinaria musica alla chitarra, uno strumento che per lui non ha segreti, al punto di farsene costruire alcune particolari (come la Pikasso, dotata di 42 corde con delle sonorità che allargano il loro spettro fino ad evocare quelle di un arpa), o di allestire impervi concerti in solitario con sofisticati marchingegni elettro-acustici . Poi, quando suona, si resta a bocca aperta: a Scolacium ha per esempio offerto una versione incredibile di “Are You Going With Me”, suo tipico marchio di fabbrica, che forse qualcuno sa iniziare ma nessuno concludere, che ha affrontato con arpeggi supersonici e una sensibilità superiore.
Quel particolare salto di tono che a circa tre quarti di pezzo lo separa dai comuni mortali, è sembrato condurre questa volta direttamente in paradiso.
E quando si è trattato del momento dei saluti finali prima di ripartire dallo stesso albergo in cui era iniziato il suo fantastico debutto calabrese, complice uno stupendo esemplare di chitarra marchiata Manzer, ovvero la liutaia canadese che per lui ha ideato dei modelli esclusivi, ha finito con il suonare per un altro quarto d’ora in acustico e religioso silenzio da parte della platea ristrettissima che non credeva ai propri occhi (ed orecchie). Una sera sul filo della commozione da mandare agli archivi con la classica etichetta “Io c’ero”, per una volta senza retorica. Una splendida vetrina per la Calabria intera, dove tutto si è svolto al meglio come riconosciuto dal severo management dell’artista americano: quando cultura, storia e bellezza si danno la mano.
Siamo stati fortunati.
Vittorio Pio