di Vittorio Pio
Dopo il trionfo di Caetano Veoloso Pat Metheny sta per ritornare a Scolacium per Armonie D’Arte Festival con l’ennesima notte da consegnare agli archivi. Insieme a lui sabato 21 Luglio l’inamovibile batterista Antonio Sanchez, Linda Oh al contrabbasso e Gwilym Simcock al piano. “Per questo tour-sottolinea- ho rispolverato una parte di brani che manderanno in visibilio i vecchi fans del Pat Metheny Group: mi piace cambiare le carte in tavola, l’energia che si sprigiona sul palco ci consente di realizzare delle suite che poi nel giro di poco tempo si modificano, lasciando lo spazio per altri brani.”
Immagino che le richieste per suonare con te non ti manchino affatto, come procedi di solito nella scelta dei musicisti?
A questo punto della mia vita (Metheny ha 64 anni n.d.r), ho una tolleranza prossima allo zero per le questioni che riguardano ego e presunti drammi personali, per cui oltre alle capacità tecniche conta molto il carattere, riuscendo a stabilire con loro un feeling che contempla diversi fattori. Prendiamo appunto i membri attuali del quartetto: per circa 10 anni ho seguito Gwilym Simcock, senz’altro uno dei pianisti di maggior talento sulla scena da molto tempo a questa parte. Un musicista che condivide parecchio con Brad Mehldau, da sempre fra i miei preferiti.
Il piano non è certamente uno strumento facile, specie se viene combinato con una chitarra, ci vuole davvero una grande complicità…
Sono d’accordo, proprio per questo quando è presente, i risultati sono prodigiosi. E noi due riusciamo a farlo. Il tassello forse decisivo di questo nuovo quartetto è stato lui: attualmente a NYC c’è davvero abbondanza di ottimi talenti e ho speso parecchio a conoscerli, osservarli o a verificare alcuni dei nomi che mi erano stati raccomandati. E’ molto gratificante suonarci insieme, ne sono davvero entusiasta.
A proposito cosa pensi che possa unire Simcock e Mehldau, due fra i tuoi più recenti protetti con Lyle Mays, tuo storico complice?
Una cose che certamente li accomuna è la loro visione di natura orchestrale che trascende il loro strumento principe. Questo li rende estremamente consapevoli di cosa possa essere il ruolo di una chitarra rispetto ad un sassofono o una tromba mentre suonano il piano. Io penso che tutti e tre hanno questo concetto ben chiaro e poi ognuno di loro possiede una bella anima.
Dopo tutto questo tempo trascorso insieme, cosa ti sorpende invece di Antonio Sanchez?
Non penso di avere dei superlativi adatti. Secondo me è proprio quel tipo di batterista che probabilmente non ri-nascerà mai più. Continua ad essere un collaboratore importantissimo per me, mi copre le spalle sul palco con la sua sapienza, consentendomi una estrema libertà. Insieme possiamo mirare ad una prospettiva amplissima. Antonio è appunto uno fra questi pochissimi eletti e sera dopo sera continua ad essere una gioia totale, direi quasi un privilegio.
Con Pino Daniele hai realizzato anche un tour italiano nel 1995. Cosa ricordi di quella esperienza e del tuo storico e consolidato feeling con il pubblico italiano?
Pino è stato una persona speciale, esattamente come era un musicista dal tratto straordinario, penso che abbia rappresentato Napoli nel mondo rinnovandone i suoi fasti. Quando ho ascoltato la sua musica per la prima volta, in qualche modo ho riconosciuto un fratello. Per noi è stato molto facile suonare insieme, ed anche molto divertente.. E’ vero, c’è sempre stata una connessione speciale fra il pubblico italiano e la mia musica. Ho cercato di immaginarne il motivo ma senza arrivare in fondo perché ovviamente il mio stile è molto personale e connesso alle mie radici americane. Ma l’Italia è la patria della melodia in così tante sfumature che ne sono rimasto coinvolto emotivamente al punto di cercare di onorare quegli standard melodici che sono così naturali, direi istintivi per i tanti fans italiani che mi hanno tributato il loro affetto nel corso degli anni. Sono molto felice di ritrovarli presso il Parco di Scolacium, che è uno dei luoghi più belli in cui mi sia mai esibito.
Sei ancora nel pieno di una carriera straordinaria, che veramente pochi possono vantare, che cosa modificheresti se avessi la possibilità di farlo?
Onestamente nulla, ogni momento è stato un privilegio indimenticabile: dai miei gruppi personali alle collaborazioni con Ornette Coleman, John Scofield e Michael Brecker, la scoperta di Noa, ritrovarsi in studio con James Taylor e David Bowie, suonare con giovani straordinari come Chris McBride e Bill Stewart. Tutto ha avuto un suo senso preciso.
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